E tu, che papà sei?

E tu, che papà sei?

Vorrei dirvi che oggi è un giorno come tanti altri, ma non lo è.

 

Oggi si festeggia la gioia di essere padri.

Vorrei raccontarvi una storia strappalacrime, che vi permetta di immaginare un uomo felice, che torna a casa dalla propria famiglia, che riesce a trovare tempo ed energie per cucinare un dolce con tutti i congiunti. Ma oggi no.

Oggi voglio parlarvi di uomini padri, figli del nostro tempo, lontani dai nostri nonni e poco simili ai nostri genitori.

 

Che sia ben chiaro, non per scelta, ma per occasione; un’occasione mancata o una vita troppo dura da gestire nel migliore dei modi.

 

Ci sono uomini, infatti, che tornano a casa con il peso sulle spalle di un lavoro difficile, tanto da sporcarsi le mani, con una mascherina che blocca il respiro e i conti in banca, tra un debito e una corda che pensano possa essere l’unica soluzione.

 

Ci sono uomini che tornano a casa fischiettando, con la propria valigetta di pelle in mano, con una mascherina che copre il volto ferito da un cliente perso e da una barba lunga che non vale la pena di curare, tra una possibilità ormai perduta e una corda che pensano possa essere l’unica soluzione.

 

Ci sono uomini che tornano a casa spaventati dal domani, con una mascherina che soffoca il presente, per abbracciare la propria metà, che però non riesce a renderli padre, tra un senso di colpa dovuto all’orgoglio e una corda che pensano possa essere l’unica soluzione.

 

Ci sono uomini che tornano a casa, abbassano la mascherina bagnata dalla pioggia, baciano il proprio compagno e poi continuano ad affermare all’operatore del call center che il loro coinquilino non è in casa, tra una bugia troppo pesante e una corda che pensano possa essere l’unica soluzione.

 

Ci sono uomini. Ma soprattutto, ci sono padri.

Quegli uomini, dagli sforzi innati, dalla sicurezza visibile, dalla sensibilità invisibile, sono meravigliosi padri.

 

Tornano a casa con le paure di un mondo difficile che ad oggi ci insegna che tutto può accadere, ma sorridono e abbracciano anche nei loro silenzi. Tra una partita di calcio, un pane in tavola condiviso, i vestiti buttati su una sedia, stereotipi insensati e antichi, i padri, con e senza figli, sono genitori responsabili.

Sono responsabili della vita di chi vive quella casa che vorrebbero sempre piena di gioia e svuotata da ogni problema.

 

Ad esempio, io, ho avuto un padre che ha sempre voluto svuotare.

Eh sí, sono tra i privilegiati. Ha svuotato la mia stanza, la mia mente, il mio cuore da ogni preoccupazione, bruttezza e incomprensione del mondo, ricordandomi che, se avessi avuto bisogno di qualcosa, la sua mano sarebbe stata lì ad aiutarmi, sostenendomi con ancora più forza.

 

Mio padre, con una mascherina in viso, le mani incerottate e 75 anni nelle rughe, mi regala sguardi fondamentali al mio essere e alla mia vita.

Chi non ha più un papà, chi non è papà per scelta, chi non è padre per opportunità o per mancanza di un diritto, può essere o avere un padre, imparando a svuotare.

 

I papà svuotano il proprio cuore e ripongono l’amore innato nell’altro, indipendentemente dal DNA, dal gruppo sanguigno o dal gene più recondito.

Padre è chi padre vuole essere.

Padre è chi svuota il proprio cuore.

 

In questo giorno, perciò, festeggiamo questo padre, che sia lontano, vicino o dentro noi stessi, perché è grazie a lui, a loro, che nei momenti bui riusciamo a svuotare la stanza dall’oscurità e impariamo a portare la luce.

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